OLIMPIADI, LA CULTURA DEL MOVIMENTO

Il mio invito al movimento prende spunto dallo spettacolo delle Olimpiadi. Rio de Janeiro 2016, la 31° edizione dei Giochi Olimpici, si svolge per la prima volta in Sudamerica. Dopo 4 anni da quelle di Londra 2012, i migliori atleti dei 5 continenti competono in tutte le discipline.

Le Olimpiadi sono un grande evento sportivo, ma anche una storia di situazioni socio-politiche e una storia di uomini che si ripetono ogni quadriennio.

Lo spettacolo sportivo rimane, infatti, qualcosa che non ha fine: dopo Rio de Janeiro ci saranno altre città (e per il 2024 incroceremo le dita per Roma!), ci saranno altri campioni, altre immagini, altri fatti e altri record che ci faranno battere il cuore. Le Olimpiadi sono infondo un Movimento_Olimpiadi_5_19_2016sistema che, come un’azienda nella legge del mercato, crea e vende anche spettacolo.

Gli sport sono parte integrante della cultura di ogni Stato che ha le possibilità economiche per farli praticare. Lo sport è l’insieme di quelle attività, fisiche e mentali, compiute allo scopo di mantenere in buona salute l’intero complesso psico-fisico umano o di migliorarlo e di intrattenere chi ne è attore e chi ne è spettatore.

Così, dalle Olimpiadi alla vita quotidiana, nasce spontaneo in me quell’invito a muoverci di più, a fare attività fisica perché è davvero importante.

L’attività fisica fa parte di quel legame che l’individuo ha con l’ambiente circostante e che riguarda l’uso del corpo per il quale è stato programmato. Camminare con una certa frequenza, ad esempio, correre di tanto in tanto, muoversi per spostarsi, muoversi nel tempo libero, muoversi in modo da esercitarsi con regolarità a casa, durante il lavoro, quando c’è l’occasione.

Dopo le Olimpiadi di LondMovimento_Olimpiadi_3_19_2016ra 2012, la rivista Lancet auspicava in un articolo: “Rethinking our approch to physical activity”. Ripensare il nostro approccio all’attività fisica: meglio riflettere che a livello mondiale il 30% circa della popolazione adulta viene considerata inattiva perché svolge un’attività fisica al di sotto dei livelli raccomandati. Questa condizione è giustificata per l’avanzare dell’età e pertanto più diffusa, così come nell’essere donne e nei Paesi ad alto reddito. Tra gli adolescenti di 13-15 anni, poi, l’attività fisica è molto ridotta: addirittura l’80% circa risulta sedentario.

Viene spontaneo chiedersi perché ci sono persone fisicamente attive e altre molto meno o quasi niente?

 Da ricerche fatte, risultano fisicamente più attivi gli uomini di tutte le età, coloro che hanno fiducia nelle proprie abilità fisiche (self-efficacy) e coloro che hanno praticato in passato una certa attività fisica. Fattori che influiscono positivamente sulla pratica dell’attività fisica sono, negli adulti, lo stato di salute buono e la motivazione, mentre negli adolescenti sono il supporto e il sostegno da parte della famiglia.

Movimento_Olimpiadi_2_19_2016Alcuni paesi hanno tentato di promuovere l’attività fisica, ma con pochi riscontri tra la popolazione. L’effetto che la spettacolarità delle Olimpiadi può avere nell’intraprendere l’attività fisica a livello globale è ancora modesto.

Per aumentare la pratica dell’attività fisica in tutto il mondo è indispensabile un approccio sistematico: uno studio cioè sulle popolazioni e sulle interazioni tra i fattori legati all’inattività fisica. Non è sufficiente un approccio scientifico sul comportamento del singolo individuo.

Le prove dei benefici dell’attività fisica sulla salute sono documentate e disponibili in molti studi a partire dagli anni cinquanta. Superfluo è dire che la perfezione, la bellezza del nostro fisico consistono nell’essere in buona salute e in equilibrio con se stessi. L’attività fisica, lo sport sono fondamentali per farci crescere bene, per farci mantenere una condizione di forma ottimale in età adulta e in quella avanzata.

Sports balls with equipmentLo sport è espressione e linguaggio universali: qui l’individuo si misura con se stesso e con gli altri attraverso competizioni e risultati da cui scaturiscono poi delle classifiche. Se l’avversario è più forte o più bravo, si rispetta la sua capacità (nelle gare individuali uno soltanto vince). Lo sport prende origine dal confronto naturale del singolo individuo con i suoi simili dove la vittoria e la sconfitta fanno parte del gioco. Nel praticare lo sport, l’uomo agisce rispondendo ad alcune sue esigenze primarie come gli istinti e le passioni e utilizza le sue abilità motorie insieme al suo intelletto allo scopo di raggiungere i migliori risultati.

L’uomo fa sport per conoscere se stesso e dare un significato alla sua esistenza, con la stessa motivazione con cui crede in una religione, crea forme d’arte o studia le scienze.

Lo sport è inoltre un’attività educativa che insegna l’autocontrollo, il rispetto di sé, degli altri, delle regole e il senso civico.

Movimento_Olimpiadi_6bis_19_2016Ogni disciplina sportiva ha i suoi regolamenti che determinano lo svolgimento degli incontri nel rispetto degli avversari. L’interpretazione della morale nello sport è un esempio di quale dovrebbe essere il comportamento umano nella vita quotidiana. Nelle competizioni sportive gli atleti si muovono secondo regole che conoscono bene e che accettano di rispettare fin da subito. Anche nella vita comune esistono le regole e le leggi che molto spesso vengono accettate malvolentieri oltre che essere considerate delle limitazioni. Nello sport le regole non vengono mai messe in discussione e la loro accettazione è tacita.

 Lo sport rappresenta uno degli aspetti più significativi dell’etica nell’esistenza umana. La pratica sportiva permette di raggiungere l’appagamento e la felicità non solo agli atleti, ma a tutti coloro che assistono alle loro imprese. Nel momento in cui l’uomo pratica lo sport o assiste ad un evento agonistico, dimentica i problemi che affliggono la sua vita e quella altrui; inoltre prova serenità e soddisfazione nel sapere che le regole sono uguali per tutti e che ciascuno le rispetterà. La caratteristica morale è alla base della grande importanza e del grande seguito che ha raggiunto lo sport nella società moderna.

L’atleta esprime al meglio e al suo massimo livello il concetto di virtù: egli è perfetto sia sotto l’aspetto morale che sotto quello fisico. Inoltre, il mito della bellezza e dell’equilibrio del corpo dell’atleta come simbolo di giovinezza senza fine, ha un suo significato estetico nella perfezione del gesto (atletico) e nell’esecuzione del movimento.

L’utilità sociale di Giochi Olimpici, rispondendo ai bisogni morali, educativi, estetici e fisici della collettività è una conseguenza logica della pratica sportiva e del MOVIMENTO in genere.

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RIDE TO MOSCOW

Sensibilità e attenzione alle iniziative che legano il movimento al sociale mi portano a parlare di “Ride to Moscow”.  Anche quando il movimento è una lunga pedalata dal FVG a Mosca in bicicletta, la finalità può non essere sportiva, ma soltanto umanitaria. Ecco come la sfida di pedalare dal 29 luglio al 14 agosto per circa 160 km ogni giorno porta tre persone ultracinquantenni, appassionati di ciclismo, a mettersi in gioco non per un risultato sportivo, ma per aiutare chi, nella vita, è più sfortunato.
Alessandro, Arturo e Paolo in questa loro impresa, vogliono trasmettere il senso del dono.

“Ride to Moscow” è un’iniziativa di solidarietà. L’obiettivo è sostenere il fondo “Una porta per la vita”, una raccolta di denaro in favore dei ragazzi orfani russi tra i 10 e i 18 anni con l’intento di aiutarli affinchè possano trovare un lavoro all’uscita dall’istituto dove sono cresciuti e quindi per dare loro un futuro.

La condizione degli orfani in Russia è drammatica non tanto e non solo per come i ragazzi vivono all’interno degli istituti, ma soprattutto per le enormi difficoltà che incontrano una volta fuori.
I dati ufficiali parlano di 670 – 700 mila orfani in Russia. Oltre l’80 % dei casi è rappresentato da orfani sociali, ovvero bambini e ragazzi che hanno i genitori, ma che provengono da famiglie disagiate con problemi di droga, criminalità e soprattutto abusi. Quei genitori, molto spesso, non abbandonano un solo figlio, ma tutti assieme e questi vengono poi divisi e collocati in diversi orfanotrofi. Lì rimangono fino al compimento della maggiore età.
Le adozioni sono sempre possibili, anche se sono limitate ai bambini in tenera età e senza disabilità. Più essi diventano grandi e più la società tende a rifiutarli privando così bambini di 10 – 12 anni di ogni speranza di adozione.
Questa realtà trova conferma nei dati forniti dall’associazione russa per la tutela dei minori: il 70 % degli orfani che vivono all’interno degli istituti ha più di 10 anni e il 15 % presenta una disabilità.
I ragazzi, dopo aver trascorso la loro infanzia all’interno degli orfanotrofi, spesso senza potersi confrontare con il mondo esterno, appena maggiorenni sono costretti a lasciare la struttura di accoglimento e ad andarsene. E’ questo il momento in cui hanno un maggiore bisogno di sostegno. Molti di essi non riescono a integrarsi completamente nella società e rimangono pertanto ai margini. Dati ufficiali, tra cui quelli forniti dall’Ufficio del Procuratore Generale, rilevano che il 30 % di questi ragazzi, un anno dopo aver lasciato l’istituto, è senza tetto sotto il quale vivere ed è costretto a vagabondare per le città. Il 40 % diventa tossicodipendente o alcolista e un ulteriore 40 % finisce col commettere reati di vario genere. Un giovane su dieci trova, inoltre, nel suicidio la soluzione ai suoi problemi. Solo pochi, dunque, riescono a farsi una vita mentre molti vanno a fondo dandosi all’alcool o al crimine.
L’aiuto principale di cui questi ragazzi necessitano non è esclusivamente economico, ma soprattutto umano.
Nella maggior parte dei casi, infatti, gli orfanotrofi ricevono molte risorse economiche dallo Stato a tal punto da soddisfare i bisogni primari dei bambini e dei ragazzi che ospitano. Questi istituti si impegnano anche a offrire loro un’istruzione e la possibilità a 18 anni, di raggiungere un diploma di maturità. Il limite di questo sistema, però, consiste nella gestione dei ragazzi isolati sempre e soltanto all’interno degli istituti. Ciò li priva delle opportunità di frequentare le scuole pubbliche e di confrontarsi con i propri coetanei. L’isolamento che questi giovani vivono per lungo tempo crea seri problemi nel momento in cui sono costretti a lasciare gli orfanotrofi.

L’intento del progetto “Porta per la vita” è di sostenere questi ragazzi con il denaro raccolto, accompagnandoli e assistendoli economicamente nel difficile passaggio tra l’abbandono dell’istituto e l’entrata nella vita sociale.
L’obiettivo è di incoraggiare i talenti, le abilità, le potenzialità che essi manifestano, sostenendoli nello studio o nell’apprendimento di un mestiere.
In questo modo si spera di favorire l’integrazione nel tessuto sociale del loro paese.

L’associazione GEOFORCHILDREN, che ha promosso e organizzato questo progetto di solidarietà e di aiuto, raccoglie i fondi per l’iniziativa e si assicura che questi vengano impiegati in favore degli orfani senza dispersioni e interferenze.
Tre uomini pedaleranno per diciassette giorni dal FVG alla Piazza Rossa di Mosca, passando per i principali paesi dell’Est Europa e attraversando la Slovenia, l’Austria, la Rep. Ceca, la Polonia, la Bielorussia e la Russia. Sono Paolo Ferraris ideatore dell’iniziativa, presidente di GEOFORCHILDREN, il fratello Alessandro e Arturo Giustina, socio di Starbene Group.
E io che ci faccio in questa sfida?
La mia competenza nell’organizzare questo viaggio, il supporto come COACH all’impresa, il mio desiderio di contribuire mi hanno spinto qua. La solidarietà non conosce limiti ne confini. La sofferenza sociale ha bisogno di aiuti reali e non di barriere. Donare tempo, energie e impegno liberamente è tutto ciò che ho deciso di fare.
So bene che quelle tre persone, quei tre grandi amici, diventano i promotori e i testimoni di una solidarietà che sarà per tutti un grande esempio, ma so anche che, in quanto sportivi, non devono mai perdere la loro preparazione fisica e mentale.
La sfida di raggiungere Mosca in bicicletta sta anche nella gestione degli imprevisti e dei problemi fisici che si possono incontrare.
C’è da temere tutto quello che permette di ripartire il giorno dopo per la successiva tappa. La grande incognita sono le strade: ogni intoppo allunga il tempo di percorrenza diminuendo quello di recupero di ciascun ciclista.
Tutto ciò che incontreremo aiuterà a crescere e a non dimenticare che lo scopo del progetto è raccogliere i contributi in donazione ai giovani russi.

Ride to Moscow, dal 29 luglio al 14 agosto 2016.
www.geoforchildren.org

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COACHING E PAURE

Il nostro equilibrio psicofisico è spesso turbato da stimoli esterni ed interni che fanno nascere emozioni talvolta legate all’ansia, alla paura o addirittura al panico.

Il buio, gli spazi chiusi o troppo grandi e aperti, gli insetti, la salita e la discesa ripide, il volare in aereo, il giudizio degli altri, parlare in pubblico, l’amare ed altro ancora, sono elementi che possono generare in noi una rassegna di paure più comuni.

Coaching_paura3_17_2016 La paura è un’emozione che interessa in misura variabile ogni essere umano, è, tra le emozioni una delle più antiche e ha un valore adattivo enorme. Si tratta di un’esperienza quotidiana, di un meccanismo di allerta, da noi considerato negativamente e quindi da evitare, mentre la paura è una valida reazione al pericolo e pertanto positiva.

La paura non si manifesta soltanto quando siamo di fronte all’elemento o alla situazione che la scatena, ma anche solamente quando ci pensiamo.

E’ una sgradevole sensazione che tende a bloccare la nostra quotidianità e la nostra libertà, a paralizzarci e a inibire ogni nostra espressione causata dalla percezione di un rischio o di un pericolo non solo reale, ma anche immaginato.

Coaching_paura2_2016 E’ la paura della paura, definita in termini tecnici, “ansia anticipatoria” quella condizione penosa di attesa di uno stato ansioso.

Interessante capire che a volte non è la cosa in sé il problema ma l’idea che noi abbiamo di quella data cosa. Infatti, prima che nella realtà, qualcosa accade dentro la nostra mente e ci fa vivere una sensazione di malessere.

In ogni paura c’è uno schema che si ripete: all’idea di una certa cosa proviamo paura, stiamo male e addirittura ci blocchiamo. I nostri pensieri complicano la situazione. Quello che è necessario fare è lavorare con la nostra mente proprio perché la paura è innanzi tutto nella nostra mente e ciò serve a smontarla.

Attraverso la coaching problemi specifici come le paure possono essere risolti molto rapidamente, anche in pochi minuti.Coaching_paura5_17_2016

Esaminiamo la paura di affrontare una salita ad esempio. La nostra mente lega un picco emozionale negativo (la paura) ad un immagine (la salita) e questo collegamento è così saldo da persistere e rinforzarsi ad ogni nuova occasione.

La paura attiva il sistema nervoso simpatico che prepara il corpo all’azione aumentando l’afflusso sanguigno e l’apporto di ossigeno. Se la paura è molto intensa, allora la reazione neurologica cambia e il sistema nervoso parasimpatico si attiva: la pressione sanguigna diminuisce insieme al battito cardiaco, alla temperatura e alla tensione muscolare. Questa reazione può impedirci di agire bloccandoci e allo stesso tempo di contenerci.

Magari la paura della salita è nata tanto tempo fa da un singolo evento a cui abbiamo dato un significato importante e magari da un condizionamento esterno a noi interessa davvero poco. Quello che normalmente desideriamo è liberarci da quella paura per sempre, altrimenti, ogni volta che pensiamo o vediamo una salita, immediatamente la nostra mente ci fa vivere l’emozione che ha agganciato, in questo caso la paura.

Grazie alla coaching è possibile ”sganciare” l’emozione negativa (paura) dall’immagine (salita) per poi agganciare alla stessa immagine (salita) un’emozione positiva o almeno neutra.

L’efficacia del percorso coaching è immediata.

Chiedere aiuto ad un coach significa essere consapevoli che esiste un problema e che egli conosce i metodi efficaci di risoluzione. Vincere la paura vuol dire aprirsi ad una visione della realtà soggettiva, partendo da un cambiamento nel modo di sentire e interpretare. Aprirsi cioè ad una visione dell’ostacolo come opportunità di guarigione, come attivatore di un cambiamento. Se siamo in grado di coglierne il senso, riusciamo ad attribuire valore, finalità e dignità alla sofferenza della paura.

Coaching_paura6_17_2016L’autostima è l’elemento mancante. Una buona autostima consente di fare fronte a qualunque tipo di paura: è l’ingrediente che misura la nostra speranza nel futuro. Far leva sulle proprie risorse interiori permette di riconoscere e poi saper gestire le proprie paure. Obiettivo principale della coaching, infatti, è di contribuire al raggiungimento e al mantenimento di una condizione di maggior equilibrio e benessere. Per far ciò la coaching aiuta l’individuo nel riconoscimento delle emozioni negative come le paure, nella loro gestione e nel superamento in maniera efficace.

La differenza tra l’approccio psicologico tradizionale e quello della coaching è grande. Lo psicologo è orientato alla ricerca della causa di quella specifica paura perché sostiene che la conoscenza della causa possa risolvere il problema. Il coach invece è di supporto nella comprensione, nell’elaborazione e nella risoluzione del problema – paura; egli insegna a pensare in modo diverso, a dare alla mente nuove strategie per la costruzione di una nuova direzione affinchè si raggiungano i risultati desiderati.

 Il cervello procede secondo diverse direzioni: può procedere secondo la direzione del problema o può prendere una direzione migliore. Conoscendo il funzionamento del cervello, il coach insegna una tecnica da utilizzare per pensare in maniera più produttiva.

La riconversione consiste nel ridefinire la situazione che ci spaventa ristrutturandola secondo una nuova ottica più positiva. Il coach utilizza questa strategia per far allentare la tensione che c’è in noi, quell’ansia che tende a farci adottare comportamenti disfunzionali e, inoltre, per favorire un salutare distacco dalla paura che ci sta condizionando. Guardare dall’altro o da un punto di vista distaccato significa porre una maggiore distanza tra noi e quella minaccia, dando modo alla nostra mente di valutare, elaborare e ricostruire l’emozione che si sta vivendo per negativa che sia.

La paura non può essere evitata, ma deve essere gestita.

 Se desideriamo realmente superare una paura, dobbiamo inevitabilmente, come primo passo, accoglierla e accettarla. Ciò significa anche ammettere quella data paura per poi comprenderla. Prendendola dentro di noi, facendole spazio, la paura può rivelarci aspetti di noi di cui a volte non siamo consapevoli.

E’ vero che la paura, in generale, ci protegge da tutto ciò che, pure se piacevole, può minacciare il nostro equilibrio, ma, nello stesso tempo, ci isola in uno spazio angusto limitandoci la libertà e togliendoci quel benessere interiore generale.

Il coach può aiutare a trasformare quello spazio in un luogo protetto dove esprimere il proprio pieno potenziale. La paura può essere così uno strumento di crescita per tutti coloro che vogliono rinforzare i propri aspetti fragili e trasformare quelli disarmonici.Coaching_paura4_17_2016

Vincere una paura significa aprirsi a una nuova consapevolezza, vuol dire fare propri quegli aspetti della vita non ben accettati.

Per sviluppare il proprio potenziare e accrescere le proprie performances, molto spesso è necessario rimuovere quegli ostacoli emotivi o mentali come le paure.

Resta infatti da chiederci: cosa e quanto ci hanno fatto perdere le nostre paure?

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LA SFIDA E’ DARE

Dare è il primo passo. E non avere paura di donare è il segreto.

Da sempre le persone e le organizzazioni destinano risorse a progetti con finalità socio – assistenziali e di aiuto. Ogni anno singole offerte e significative somme di denaro si riversano a favore di minori orfani, di bambini con disabilità, di poveri e indigenti, delle ricerche in campo medico, della realizzazione di strutture e infrastrutture. Un vero e proprio mondo indaffarato ogni giorno nell’ aiutare gli altri si profila strutturato e orientato a moltiplicare il numero di persone coinvolte, le aree di operatività e la forza espressa a contrasto delle miserie e delle necessità di numerosi luoghi.

Amoris excessus, sovrabbondanza di amore, sta a dire che al centro di tutto vi è la beneficienza.4lug_1Registrazione dominio per Blog_register.it_docx

Quando si fa riferimento alle attività di beneficienza molto spesso si allude alla filantropia, a quel sentimento identificato con l’ amore nei confronti del prossimo e con la generosità verso gli altri. Dal greco antico philìa, “amore” e ànthropos, “uomo, essere umano”, filantropia nell’uso corrente significa disposizione d’animo, atteggiamento di amore verso gli esseri umani e impegno operoso di un individuo o di gruppi sociali nel promuovere la felicità e il benessere altrui attraverso azioni di solidarietà.

Sentirsi bene facendo del bene. Dare tempo, energie e competenze liberamente rappresenta tutto ciò che una singola persona o un’organizzazione ha deciso di fare. Senza pressioni ad agire da parte di altri, quelle figure hanno preso la decisione di aiutare spontaneamente. Se può essere vero che da sole non sono in grado di risolvere tutti i problemi del mondo, con ciò che ciascuna vuole contribuire si può rendere migliore quel piccolo contesto a cui l’aiuto é destinato.

4lug_3Solidarieta-le-donazioni-italiane-corrono-sul-webQuando si dona, probabilmente anche si riceve. Quando si da’ una mano agli altri, si da’ anche una mano a se
stessi. Dare soddisfa in realtà un bisogno che è grande in noi. Il bisogno spirituale di contributo si appaga solo quando si contribuisce alla vita degli altri. Proprio come un neonato non può sopravvivere da solo senza l’apporto al proprio benessere da parte degli altri, così noi non siamo in grado di ricevere una gratificazione spirituale se non diamo il nostro apporto aiutando gli altri.

Il desiderio di soddisfare questo tipo di bisogno sorge in automatico, non prevede alcuno sforzo cosciente. A prescindere dalla nostra identità, dal nostro vissuto personale, dalla nostra religione e dalla nostra professione, dalla razza e dalla cultura di appartenenza, ogni giorno siamo spinti a soddisfare quel bisogno che da sempre è parte integrante della natura umana.
“Soltanto riuscendo a soddisfare il bisogno dello spirito sarà possibile raggiungere l’obiettivo di una gioia sostenibile piuttosto che quello di un piacere momentaneo “.

L’essere umano solitamente appaga il proprio specifico bisogno in modo positivo, negativo o neutro, ma in ogni caso e in qualche particolare maniera riesce a soddisfarlo. È sempre possibile soddisfare un bisogno: il segreto consiste nell’individuare una modalità ragionevole di realizzazione e che procuri più piacere che dolore.
La psicologia fornisce la risposta al perché l’uomo agisca e si comporti in un certo modo, perché esistano persone disposte a dare, a rendersi utili, a sacrificare la propria vita e parallelamente ci siano persone poco disposte a dare o addirittura disposte a uccidere per puro piacere. Questo perché esiste una forza che determina tutte le nostre emozioni e azioni, la qualità della nostra vita e che si chiama bisogno umano.4lug_2social-work-lecture-series-1024x576-e1447005769734

E’ vero che donare o prestare servizio gratuito per aiutare le persone in difficoltà senza niente in cambio è un atto generoso altruistico e pro sociale, ma non sono soltanto queste le motivazioni.

Le motivazioni si esplicano nelle azioni, e nei risultati, non sono mai fatti osservabili. Il bisogno di contribuire a volte nasconde altri bisogni personali. Come il ridurre il proprio disagio di fronte alle necessità o sofferenze altrui per una pace interiore, come il desiderare di accrescere la propria autostima sentendoci utili, a volte indispensabili, ma comunque protagonisti, come il fare nuove esperienze e acquisire abilità, come il dare un altro significato alla propria esistenza, come il confidare in un riconoscimento sociale. Certo è che se il contribuire produce benessere non solo a chi riceve ma pure a chi dà eticamente, allora non è più necessario indagare sul perché si contribuisce.

Dare e fare per gli altri rimane comunque l’espressione di un orientamento pro attivo e pro sociale che crea benessere e non fa male.

Ci sono persone e imprese che hanno il senso della filantropia. Ma ci sono pure condizioni che vanno rispettate.

La destinazione della risorsa donata deve essere garantita, gli obiettivi di aiuto devono essere chiari, la modalità di distribuzione o di intervento deve essere pianificata e il risultato finale deve essere certo e dimostrato.

Singolo individuo o organizzazione che sia, a prescindere dalla propria missione e dai propri scopi, deve essere in grado di pianificare, organizzare e gestire tutte le azioni che portano ad una raccolta fondi e contributi senza scopo di lucro. Inoltre, il fundraiser non deve perdere di vista quelle caratteristiche a cui tendere che sono: la credibilità, la fiducia da parte degli altri, contribuenti e riceventi, la curiosità di conoscere realtà di bisogno, la consapevolezza delle proprie responsabilità, l’intraprendenza e l’esposizione al rischio, la capacità di perseverare, l’essere concreti, chiari, realistici ed efficaci.

L’organizzare una lotteria o una pesca di beneficienza, come intraprendere un’operazione finanziaria per la costruzione di un ospedale in Africa, per esempio, è filantropia e come tale deve sostenere il progetto desiderato con grande passione. La cosa importante è scegliere sulla base dei desideri personali e chiedersi quale scopo si voglia ottenere con il contributo. A volte non c’è bisogno soltanto di denaro, ma anche di persone affinché il progetto venga sostenuto.

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Siamo in molti a credere che in un certo momento della nostra vita, si delinea quella responsabilità di restituire alla società e all’ambiente in cui viviamo le risorse ricevute in precedenza per la nostra crescita personale. Oltre che una responsabilità, contribuire è un onore.

 Oggi la generosità può essere la sintesi di un meccanismo di mercato che avanza autonomamente. La nuova tendenza è di fare filantropia facendo anche un etico profitto. Avere un orientamento sociale attraverso attività sociali grazie ad una filantropia aziendale, crea pure un valore aggiunto ai servizi o ai prodotti offerti e non solo un ritorno di immagine.

Nei paesi anglosassoni già da alcuni anni c’è un orientamento all’innovazione sociale intesa come risposta ai bisogni emergenti attraverso nuove forme di azione e relazione. Il Social Impact Investing ad esempio, si propone di progettare lo sviluppo di un Paese intero coinvolgendo gli ambiti pubblici e privati, le organizzazioni no-profit, con un duplice obiettivo: grande impatto sociale e guadagno economico. Si sa che la crescita sociale spinge in direzione di una crescita dell’economia. Oggi ciò è reso possibile dalla mancanza di risorse pubbliche e dalla minor contrapposizione tra il fare profitto e il fare beneficienza.

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PERCHE’ VIAGGIARE ?

Viaggio da sempre per un gran numero di motivi diversi in cui ciascuno potrebbe ritrovarsi, ma viaggio soprattutto perché lo voglio.IMG_8733

Mettere tra casa mia e un luogo scelto un po’ di chilometri è ciò che veramente desidero.

Anche le ricerche scientifiche dimostrano che quando prenotiamo un viaggio, la destinazione non è sempre così importante, mentre diventa basilare soddisfare quel bisogno radicato di volerci allontanare dal nostro porto e dal nostro quieto vivere.

Interporre una certa distanza tra casa e un luogo qualunque non perché ci sentiamo stressati, o perché ci vada di vedere qualcosa di diverso, o perché siamo stanchi dei soliti paesaggi, ma perché ne abbiamo realmente bisogno, è la giusta motivazione. Sarà che qualcuno lo fa più spesso perché ce l’ha scritto nel DNA (il gene DN4-7R, è correlato alla curiosità e influisce sul livello di dopamina nel cervello così che, chi lo possiede, e secondo gli scienziati nel mondo sono due persone su dieci, risulta essere entusiasta quando parte per un nuovo viaggio), io lo faccio perché attraverso il viaggio conosco, faccio nuove esperienze, cresco e mi sfido.

Dicono che chi viaggia è una persona che in realtà ha una voglia matta di adattarsi e riadattarsi. Per fare ciò c’è bisogno di curare la propria forma fisica e quella mentale: essere sempre un po’ allenati, saper riposare quando è il momento, nutrirsi nel modo giusto, gestire le risorse a disposizione, affrontare le difficoltà impreviste, studiare la carta topografica, sapersi arrangiare anche in condizioni metereologiche avverse, senza paura della fatica.

Il viaggio non è una marcia nell’ignoto. Nel mio zaino non mancano mai un poncho impermeabile per acquazzoni improvvisi; una torcia perché il buio improvviso che limita il campo visivo e il muoversi nell’oscurità richiedono più coraggio; un coltellino svizzero per ogni necessità; un cordino; un rotolino di nastro adesivo; un accendino; un mini-kit di soccorso per banali ferite, vesciche, scottature, problemi intestinali; qualche sacchetto di plastica trasparente per contenere, per isolare, per riparare; una micro saponetta messa a disposizione negli alberghi per la pulizia personale improvvisa; occhiali da sole e cappellino con visiera tutto inserito in modo tale da poter essere sfilato velocemente senza fermarsi.

Ogni singolo elemento assume la sua importanza.

IMG_7726I viaggi in cui non tutto corre nel verso giusto sono quelli interessanti e piacevoli da raccontare: gli aneddoti migliori fanno seguito agli imprevisti e catturano l’attenzione.

Sono cresciuto guardando atlanti e mappamondi, puntando il dito indice su strade, mappe e destinazioni che forse un giorno avrei raggiunto. Da un’infanzia curiosa ho colto che non avrei saputo mai scegliere un posto del cuore, non è possibile sceglierne solamente uno.

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Dall’Africa al Circolo Polare Artico, io amo qualcosa di ogni posto che ho visto. E non mi sono mai sentito troppo straniero in nessun luogo. Forse sono un viaggiatore per istinto e come insegna la storia, siamo dei nomadi o lo eravamo, di sicuro i nostri antenati lo erano. La civiltà umana ha da sempre sostenuto grandi spostamenti.

Essere viaggiatore non è solo viaggiare. E’ anche una maniera di vivere.

Non si prende soltanto un aereo o un altro mezzo e si parte verso una destinazione da visitare spostandosi temporaneamente in un luogo diverso dal proprio: viaggiare è un modo di vedere e percepire l’ambiente circostante, averne rispetto rendendosi consapevoli dei pericoli dell’inquinamento e immergersi in un’altra vita, assaporare un’altra conoscenza, regalare parte di sé alle persone che si incontrano e ricevere in cambio parte di loro. “Chi viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, si sposta”: di ciò tutti riconoscono il valore e l’indubbio fascino.

Ma quali sono i vantaggi effettivi del viaggiare?

Fa bene alla mente, al cuore, al corpo e alla carriera; ci rende sorridenti, attivi, aperti ad accogliere quello che il mondo può offrire.

E’ la scienza a dimostrare che viaggiare è un’opportunità sulla strada della felicità e non solo un’impressione scontata.

Viaggiare soddisfa quella voglia di girovagare dal significato più profondo che indica anche il bisogno di scoprire luoghi sempre diversi e che gli americani definiscono “wonderlust”.

Viaggiando non si scappa dalla realtà quotidiana e dai problemi.

Andarsene dal luogo in cui trascorriamo la maggior parte del tempo consente alla mente di liberarsi e di divenire più conscia e più consapevole delle varie situazioni. In viaggio riusciamo a esternarci e a osservare dal di fuori ogni cosa, quindi a valutare con più razionalità e a trovare una soluzione. La distanza diventa così purificatrice e liberatoria per la mente.

Chi viaggia è più aperto e creativo. Anche solo spostarsi per lavoro ci rende tali: la ragione è che crearsi nuove abitudini o conformarsi a quelle locali, stare a contatto con la gente di un paese straniero e la loro cultura aziona quello che gli studiosi definiscono flessibilità cognitiva.Birmania_gen_2010 789

Il viaggio aumenta le connessioni neuronali e quindi l’efficienza del cervello. Chi viaggia molto ha una maggiore densità di neuroni in alcune zone cerebrali. Tutte le attività legate al viaggiare come percorrere sentieri sconosciuti, assaggiare per la prima volta il meglio della cucina locale, dallo street food alle zuppe senza farsi spaventare dagli insetti o da serpenti e roditori, imparare poche parole in un’altra lingua per farsi capire senza essere impeccabili, esplorare le usanze straniere (per poi scoprire il valore storico delle proprie!), assorbire le diversità, creano nuove connessioni, nuovi circuiti nel cervello stimolandolo. Anche la memoria ne trae vantaggio: viaggiare “migliora l’efficienza cerebrale dorsolaterale, molto importante per la memoria a lungo termine.”

 Viaggiare contribuisce pure ad aumentare l’autostima perché, secondo gli studiosi, migliora “il senso di controllo sulla propria vita”, espande l’abilità di relazionarsi con gli altri e “modifica la propria scala di valori”.

 A conclusione di questo articolo, voglio condividere con Robert Reid di Lonely Planet e dagli studi pubblicati, che i viaggiatori hanno numerosi vantaggi rispetto ai sedentari.

Per me che faccio del movimento la mia missione e la mia filosofia di vita, viaggiare è confrontarsi col proprio essere e con le proprie abilità.

IMG_5647Viaggiare inizia con un’idea, un desiderio: inizia dal momento in cui cominciamo a pensarlo, a idearlo per poi programmarlo. Da coach mi viene da dire che, se il nostro cervello comincia a viaggiare semplicemente immaginando la destinazione, ancor prima della reale partenza, allora è fondamentale visualizzare nella nostra mente l’intero percorso e noi imbarcati in una nuova sfidante avventura.

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PERCHE’ MENO PROTEINE ANIMALI?

La parola proteina deriva dal greco proteios che significa “di primaria importanza”. Nel XIX secolo proteina era sinonimo di carne e per più di un secolo abbiamo sostenuto questa associazione.

Anche ai giorni nostri molti considerano le proteine legate ai cibi di origine animale. Il primo alimento che ci viene in mente quando pronunciamo la parola “proteina” di solito è “carne” perché è ancora forte la convinzione che carne e proteine siano la stessa cosa. Forse perché alla fine del XIX secolo, nella fase iniziale della nostra rivoluzione industriale, poiché avevamo più denaro, abbiamo iniziato a consumare più carne e più latticini. Erano diete ad elevato contenuto proteico animale e ricche di grassi che mostravano il livello del nostro benessere economico. Ma in seguito, con la seconda metà del XX secolo, gli studi sull’alimentazione hanno cominciato a mettere in discussione questo genere di alimenti. Gli scienziati hanno voluto liberarsi del pregiudizio culturale ancora saldamente affermato per cui una popolazione civilizzata mangiava proteine in abbondanza, chi era benestante mangiava carne e una popolazione povera si nutriva di cibi di origine prevalentemente vegetale come il pane e le patate.

Le indagini scientifiche continuano a rivelare la correlazione tra consumo di alimenti di origine animale e aumento del livello di colesterolo nel sangue mentre le sostanze nutritive derivanti dai cibi di origine vegetale non contengono colesterolo e contribuiscono in vari modi ad abbassarne la quantità prodotta dal corpo.

Scegliere una dieta ad elevato contenuto di proteine e grassi animali porta a un deposito di grasso corporeo tra le fibre muscolari e nei punti più ovvi come l’addome, la zona intorno al viso o alle cosce, il fondoschiena. Nessuno desidera essere in sovrappeso perché vuol dire fare a meno di molte delle cose piacevoli della vita, eppure un numero sempre maggiore di persone lo è.

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La causa, pertanto, sta infilzata nella nostra forchetta. Soprattutto oggi che l’abitudine americana di nutrirsi soprattutto di hot dog, hamburger e patatine fritte sta diventando pure italiana.

C’è un’altra ragione per cui ridurre il consumo di proteine animali. Le proteine animali, al contrario di quelle vegetali, rendono l’organismo acido: ciò significa che il PH dei nostri tessuti e del nostro sangue diventa meno alcalino. L’organismo però inizia a reagire perché non gradisce questo ambiente acido. Per neutralizzare l’acidità, esso utilizza il calcio contenuto nelle ossa le quali, a lungo andare, si indeboliscono per la perdita. Così, se le proteine animali ingerite aumentano l’acido metabolico e tolgono del calcio alle ossa, questo finisce nelle urine rendendo fragile la struttura ossea.

E poi che dire della quantità di antiossidanti, di fibre e di minerali contenuta nei cibi di origine vegetale rispetto a quella nei cibi di origine animale…Alimentazione_prot_animal_veg6_14_2016

Gli antiossidanti sono una varietà di sostanze chimiche, alcune dette carotenoidi, presenti quasi esclusivamente nelle piante, nelle verdure, nella frutta e sono solitamente colorati. Dal giallo della zucca, al rosso nei pomodori, all’arancione nelle arance oppure incolori come l’acido ascorbico (vitamina C) e la vitamina E, gli antiossidanti ci proteggono dai radicali liberi.

I radicali liberi agiscono in un quadro di danneggiamento indesiderato quando ci esponiamo ai raggi del sole in maniera inadeguata o a certe sostanze inquinanti o a causa di un apporto nutritivo mal bilanciato. I radicali liberi sono molto pericolosi perché irrigidiscono i nostri tessuti e li limitano nelle loro funzioni. Accelerano il processo di invecchiamento. Pertanto favoriscono quei processi che provocano la cataratta, ad esempio, l’indurimento delle arterie, l’enfisema, l’artrite, il tumore e tutti quei disturbi che diventano frequenti con l’avanzare dell’età.

Noi non produciamo antiossidanti; fortunatamente però li troviamo disponibili nei vegetali. Basta mangiare frutta e verdura intera, cereali integrali che sono i cibi più sani che si possano consumare.

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Le fibre contenute esclusivamente negli alimenti di origine vegetale anche se non vengono digerite sono vitali per la salute. Le fibre estraggono l’acqua dal corpo e la convogliano nell’intestino facendolo rimanere in funzione. Inoltre, catturano pure quelle sostanze chimiche che transitano nell’intestino e che potrebbero risultare pericolose e cancerogene.

Le fibre alimentari sono composte soprattutto da molecole di carboidrati, non hanno calorie, contribuiscono a creare un senso di sazietà, placano l’appetito e diluiscono la densità calorica delle nostre diete. In questo modo soddisfano la fame riducendo il consumo di calorie ingerite.

Consumare alimenti allo stato naturale, non raffinati e non trattati, significa ingerire abbondanti dosi di vitamine, minerali ed energia accessibile.

All’estremità opposte ci sono i cibi, soprattutto carboidrati, altamente raffinati e trattati ovvero gli amidi e gli zuccheri ottenuti dalle piante privandole meccanicamente degli strati esterni. Questi alimenti come lo zucchero raffinato, la farina bianca, il pane bianco, gli spuntini industriali quali i crackers, le barrette e le merendine, ecc., hanno perso la maggior parte delle vitamine, dei sali minerali, delle proteine e delle fibre della pianta e hanno un valore nutrizionale davvero minimo. Inoltre vengono assorbiti direttamente dall’organismo innalzando il tasso glicemico del sangue.

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Lo diceva Ippocrate (460 – 377 a.C.), padre della medicina, che chi non conosce il cibo non può capire le malattie dell’uomo: i benefici ottenuti da una dieta ricca di cibi di origine vegetale sono molto più interessanti di quelli prodotti dai farmaci e dalla chirurgia nella pratica medica.

 

 

 

Le soluzioni efficaci e realizzabili ai problemi di salute si trovano nell’alimentazione: in fondo alimentarsi è uno dei nostri più intimi incontri con il mondo in cui viviamo. Mangiare è un processo in cui ciò che entra nel nostro corpo diventa parte di esso. Cambiare un pò il modo di mangiare significa veramente assumere il controllo della propria salute.

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ATTIVITA’ FISICA O ESERCIZIO FISICO?

La vita intesa nel suo complesso, dalle singole molecole agli apparati e ai sistemi biologici più sofisticati, è movimento. Ma l’uomo non si è ancora reso pienamente conto di essere stato concepito e programmato per muoversi ed agire con il proprio corpo. Circa il 70 % della popolazione dei paesi occidentalizzati non ha un livello di attività sufficiente a mantenere uno stato di salute ed un peso corporeo ottimali.

L’ignoranza sugli effetti di una vita sedentaria, come dichiara l’OMS, le ragioni principali per cui non si fa movimento che per l’ ISTAT sono la mancanza di tempo, di interesse, l’età e i motivi di salute, non inducono nella popolazione una modificazione delle abitudini motorie.

Il passaggio da un livello di inattività a quello di modesta attività fisica, già determina, significativi miglioramenti dello stato di salute. E allora, come scegliere nel vasto ambito del attivita-fisica-sport-clicktocare_13_2016movimento? Meglio seguire un programma di attività fisica strutturata con degli obiettivi specifici o è sufficiente muoversi in modo “aspecifico”? Meglio parlare di attività fisica o di esercizio fisico?

Attività fisica ed esercizio fisico sono termini abitualmente usati per riferirsi in generale ad una vita attiva, ma da un punto di vista scientifico, hanno un significato diverso.

La definizione di attività fisica riguarda quel complesso di movimenti e gesti che l’uomo compie quotidianamente e che comprende sia i movimenti spontanei o volontari del corpo negli spostamenti, sia gli atti motori elementari e fini. Ogni tipo cylo-one-rivoluziona-il-concetto-di-bicicletta-urbana-cylo_action_13_2016 di movimento che determini un dispendio energetico rispetto alla condizione di riposo è considerato attività fisica. Camminare, salire le scale, passeggiare con il cane, spostarsi in bicicletta, compreso svolgere le attività quotidiane di routine come le faccende domestiche, la spesa, il lavoro, rappresentano l’attività fisica.

L’esercizio fisico si identifica invece come una sottocategoria dell’attività fisica che comprende tutte quelle attività motorie in cui i movimenti del corpo sono ripetuti, programmati, strutturati e finalizzati in maniera specifica al miglioramento della forma fisica.

Nell’esercizio fisico ci sono dunque finalità precise che vanno dalla salute, il benessere, l’estetica e la performance alla riabilitazione e al recupero motorio e si seguono, durante l’esecuzione precisi criteri in termini di durata, frequenza e intensità.

L’esercizio fisico è una forma particolare di attività fisica che ha la caratteristica di essere programmata, pianificata, quantificata, intenzionale ed eseguita allo scopo di migliorare o mantenere uno o più componenti dello stato di forma.

Così passeggiare, spostarsi, muoversi quotidianamente sotto il proprio controllo consapevole rappresenta l’attività fisica, mentre allenarsi per uno sport, sollevare i pesi, fare un certo numero di vasche in piscina, praticare il cardio – finess in

Stretching legs and arms

palestra, camminare a ritmo sostenuto, seguire un corso di ginnastica, praticare attività d natura attiva come il giardinaggio e gli sport competitivi, sono tutte forme di esercizio fisico.

Come scegliere e perché scegliere tra attività fisica ed esercizio fisico? Ecco di seguito una valida risposta.

Alle persone inattive da molti anni, ai soggetti sedentari, l’attività fisica è indicata e ha un suo valore nel migliorare lo stato di salute perché nel passaggio dall’immobilità a modesti livelli di attività, porta immediatamente a dei benefici. Volendo continuare a ottenere riscontri costanti sia del livello generale dello stato di salute che di alcuni parametri specifici, risulta indispensabile agire sulle variabili durata, intensità, frequenza e tipologia di esercizio: è necessario pertanto passare dall’attività fisica all’esercizio fisico.

E’ stato evidenziato che il dosaggio di esercizio ha una risposta anche nei soggetti normali e non solo negli atleti: una maggiore “dose” di movimento comporta maggiori risultati.

Per ottenere ulteriori e significativi miglioramenti dello stato di salute generale ma anche di alcuni parametri specifici di ordine prestativo come la forza, la flessibilità, la resistenza cardio vascolare non basta aumentare il volume di attività fisica, cioè più movimento, è necessario passare dall’attività fisica all’esercizio fisico.


foto_albo_13_2016L’ideale quindi è di essere regolarmente attivi spostandosi il più possibile a piedi o in bicicletta, ad esempio, e di inserire su questa base di costante movimento, 2 o 3 sedute di esercizio fisico
strutturato e dosato da un Personal Trainer qualificato ed esperto.

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DA GRUPPO A SQUADRA: LA SFIDA

“If you want to walk fast, walk alone. If you want to walk far, walk along with others” (African proverb)
“Se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme.”
(Proverbio africano)

Andare avanti insieme a altre persone non è certamente la cosa più semplice al mondo, tanto più se ci sono evidenti diversità caratteriali e di intenzioni. Essere un gruppo prevede già un confronto e un dialogo per poter capire innanzitutto di essere compagni dello stesso viaggio nella vita. Il sentimento di appartenenza si lega alla percezione del gruppo ovvero all’intento di voler procedere insieme e non da soli, di voler andare lontano piuttosto che veloci.
Se nei contesti di vita si lavora in gruppo, l’impegno collettivo diventa fonte di creatività e armonia, la fatica si attenua e, in termini di efficacia, si rende di più.

Spesso ci si esalta all’idea di competere da soli e si sottovaluta il valore della cooperazione perché si è gelosi della propria conoscenza, del proprio valore, dei risultati delle proprie azioni, risultati che non si vogliono condividere con gli altri.Sfide_Gruppo_Squadra2_12_2016

Il lavoro di gruppo nasce quando ci si concentra sul “noi” e non soltanto sull’“io”

Lavorare in gruppo, in qualsiasi attività e situazione, significa entrare a far parte di un organismo coeso dove le persone interagiscono e si influenzano reciprocamente. Il lavoro di gruppo stimola la cooperazione al servizio degli obiettivi prefissati anziché la competizione tra individui.

Fare gruppo, qualunque sia il proprio ruolo o la propria identità, porta le persone ad essere più motivate, meno ansiose, più intraprendenti nell’esprimere idee e pensieri, più umili nell’accogliere opinioni diverse e contrastanti.
Chi compone un gruppo collabora con i propri valori, insieme a quelli dei compagni, all’esito positivo dell’iniziativa. Aggiunge valore al contributo di tutti. In questo modo il lavoro diventa fonte di motivazione, creatività, soddisfazione e pure di felicità. Si diventa più sicuri di sé, più forti e più produttivi, più tolleranti verso le diversità non soltanto nel lavoro, ma in ogni contesto della vita.

Il passaggio da gruppo a squadra non è semplice e immediato. Ci vogliono tempo, educazione, esempio, convincimento e scelta delle persone.

L’idea di squadra ha a che fare con il concetto esterno della Sfide_Gruppo_squadra_12_2016competizione e della sfida sportive. Il concetto di gruppo volge invece l’attenzione all’assetto interno nella collaborazione tra le persone, all’organizzazione che consente di lavorare bene anziché di gareggiare.
Nel gruppo solitamente si discute, si negozia, ci si oppone, si accolgono le divergenze e le eccezioni. Nella squadra si decide cosa fare senza lasciare poi tempo e spazio alla discussione; non c’è negoziazione perché, comuni obiettivi chiari e condivisi, non si modifica nulla; non c’è opposizione altrimenti si esce dalla squadra; non si accolgono divergenze ed eccezioni se non a risultato raggiunto.

Le persone che fanno parte di una squadra hanno coscienza di partecipare sempre a una sfida dove in fondo o c’è sconfitta o c’è vittoria.

Le persone che fanno parte di un gruppo raramente perdono e non necessariamente vincono quando fanno un buon lavoro.
Il gruppo si orienta prevalentemente verso l’efficienza, la squadra verso l’efficacia. Il gruppo esalta lo spirito di collaborazione, la squadra quello di competizione.

Sfide_Gruppo_Squadra3_12_2016E’ lo sport a indicare ai contesti lavorativi e di vita come fare lavoro e gioco di squadra per ottenere i migliori risultati, il massimo della resa, per garantire maggiore soddisfazione nel lavoro e senso di appartenenza del personale. Nelle squadra i risultati dei singoli non si sommano, ma si moltiplicano.

Non è più sufficiente avere singole persone impegnate, bensì componenti di una squadra coordinati, ben assortiti, integrati e interattivi.

Come essere una squadra?

Perché un gruppo di persone diventi una squadra è necessario:

  • avere ruoli precisi
  • sperimentare un senso di aggregazione e condivisione;
  • condividere vision e obiettivi. Il futuro va visto in modo chiaro da tutte le persone della squadra e chi crea la squadra deve trasmettere una visione dove tutti si ritrovino nelle loro azioni quotidiane;
  • stabilire delle regole chiare, condivise e rispettate. Se mancano, le persone automaticamente e inconsciamente considerano le proprie regole come dei principi assoluti;
  •  valorizzare le diversità delle persone come risorse e non come limiti.

La sfida del gruppo che passa a essere squadra sta in una stimolazione mentale ad affrontare il lavoro e la vita con il senso di competizione costante, con ruoli definiti e una forte motivazione.

Diventare squadra vuol dire concentrarsi sul presente, proiettarsi verso il futuro anziché mantenere lo sguardo verso il passato.

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COACHING E SALUTE

Siamo ancora in molti a adottare comportamenti poco utili per il nostro benessere, per la salute e molto spesso senza esserne consapevoli. A ciò si aggiunge il dato che circa il 70 % della popolazione vive costantemente sotto stress con conseguenti abbassamenti dei livelli di prestazione e di condizione fisica. Risulta quindi evidente che oggi c’è bisogno di trovare la giusta modalità, la guida che aiuta a interpretare la realtà soggettiva nel modo corretto e che indichi quella strada che spesso non si vede o che non è facile da individuare.

Un approccio health coaching può essere efficace nel gestire una grande varietà di problematiche relative alla salute.
Che cos’è l’health coaching?

 L’health coaching è un modo di lavorare con le persone che mira a fare aumentare la consapevolezza e a incoraggiare una maggiore assunzione di responsabilità nella gestione della propria salute, nella Coaching_Health3_11_2016cura di sé. L’ health coaching aiuta le persone a far fronte al gap tra il sapere (conoscenza), il fare (le azioni) e l’essere. Lo scopo è accompagnare le persone nel procedere dal “sapere” a riguardo di un certo argomento, al “fare” con l’utilizzo di nuove competenze, all’integrare tali competenze nel modo di “essere” durante l’attività quotidiana.

Le ricerche dimostrano che la conoscenza acquisita, da sola non spinge all’azione, ma quando si aggiunge la motivazione, allora il cambiamento è possibile.

Coachinng_Health5_11_2016L’ health coach è la figura chiave in grado di motivare e sfidare la persona risvegliando le sue potenzialità latenti. L’ health coach è una sorta di allenatore, un professionista esperto nell’ambito della salute che guida le persone a raggiungere il benessere e l’equilibrio con il proprio corpo. Mediante le competenze e le peculiari conoscenze, l’ health coach promuove comportamenti sani, offre un sostegno emotivo, facilita un percorso personalizzato di salute e, anziché insegnare una tecnica o una abilità, stimola la persona a esplorare la propria forza e le proprie risorse interiori.

Oggi la consapevolezza del proprio stato di salute, la mindfulness, quel processo di costante ascolto e la consapevolezza del cambiamento degli stati interni ed esterni, è fortemente condizionato e minato dall’ambiente, dalla realtà attuale, dalle condizioni di vita. Il compito dell’ health coach è dunque di favorire il riconoscimento di centralità e unicità, di attivare le potenzialità interne e le risorse esterne della persona nella quotidianità allo scopo di preservare lo stato di salute e di attivare un cambiamento verso la mindfulness.

Coaching_Health_11_2016Capire e sperimentare in prima persona come la vitalità e la salute dipendono da:

  • l’atteggiamento mentale;
  • le convinzioni e credenze personali;
  • l’alimentazione;
  • la quantità di attività fisica;
  • la qualità delle relazioni interpersonali;

può aiutare chiunque a prendere in seria considerazione un allenamento al proprio benessere gestito dall’ health coach.

 Primo passo: stabilire una relazione. Il percorso inizia con l’impegno; impegno e fiducia facilitano la costruzione di un rapporto.

La relazione tra la persona e il coach si crea e si rafforza nelle tre fasi che caratterizzano il percorso di health coaching:

  • chiarezza e valutazione delle cattive abitudini in cui si definisce la situazione attuale. Qui si esamina il livello di attività fisica praticata o quello di sedentarietà, lo stesso viene fatto per le abitudini alimentari e il regime seguito;
  • elenco dei desideri e delle esigenze della persona verso nuovi livelli di star bene. In una visione di benessere, si definiscono gli obiettivi da raggiungere che devono essere specifici e misurabili;
  • trasformazione degli obiettivi in azioni complete. L’ health coach aiuta a generare e scegliere le azioni più efficaci per raggiungere il proprio obiettivo di salute.

Green alarm clock, apple, bottle of water, measuring tape and dumbbells as concept of diet - isolated on white

Le azioni investono le diverse sfere della vita: l’attività fisica con la stesura di un programma personalizzato, l’alimentazione fornendo consigli alimentari (l’health coach opera a stretto contatto con i nutrizionisti) mediante una forma di educazione.

Il piano di azione così definito insieme, diviene un percorso diviso a tappe in cui si procede con la riprogrammazione dei comportamenti utili. Sono previsti dei controlli periodici dei risultati con test di verifica e un controllo costante del coach che fornisce motivazione e supporto anche a distanza.

Nel momento attuale in cui si sente con forza l’importanza di uno stile di vita sano che comprenda il movimento, una sana alimentazione, una maggiore percezione del sé e una soddisfacente dimensione emozionale e sociale per affrontare al meglio gli impegni e le sfide quotidiane, l’ health coaching si rivela indispensabile.

L’ health coaching insegna ad ascoltare il proprio corpo e a comprenderne i bisogni, fa crescere la consapevolezza, aumenta il livello di responsabilità personale nella gestione della propria salute e nel mantenere i buoni propositi.

In una parola, l’ health coaching è educazione alla salute.

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Da Domani Mi Muovo – 1 – La Storia
“Questo libro aiuta davvero a pensare di dare un senso a ciò che si fa: non è la capacità tecnica decisiva o l’abilità, ma ciò che si chiede a se stessi.
Atleta o persona semplice che sia, oggi più che mai ciascuno deve sentirlo forte e perseguirlo con determinazione. Il movimento è una necessità.” – dalla prefazione di Deborah Compagnoni.
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Da Domani Mi Muovo – 2 – L’Inizio
“Questo è un libro che riguarda tutti noi, sportivi e non. Fare movimento, fare esercizio fisico aiutano nella vita fino da quando, giovani, pratichiamo lo sport. Scegliere di continuare ci aiuta a sentirci giovani e a mantenerci in salute. Il corpo che abbiamo ci deve accompagnare per un lungo cammino ed il nostro compito è di mantenerlo sempre nelle migliori condizioni possibili.” – dalla prefazione di Alberto Tomba
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4.SCOPRI IL METODO “Da Domani mi Muovo” (GUARDA IL VIDEO)

Un video corso di 19 lezioni dove Roberto Travan ti accompagnerà in un percorso di cambiamento per migliorare la tua salute.
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MOVIMENTO NUOVO FARMACO

C’è un farmaco che opportunamente somministrato cura e previene diverse patologie e diversi tipi di disturbi. Ha delle implicazioni positive sullo stato di salute in genere, aiuta a ritrovare il benessere perduto migliorando la condizione fisica e l’umore; non può sostituirsi a tutti i trattamenti farmacologici, ma risulta un ottimo coadiuvante.

Post_Telecolor_25apr2016   E’ il movimento , il nuovo farmaco prescrivibile dalla classe medica che riduce la morbilità e la mortalità per diverse malattie di grande rilevanza socio – sanitaria.

Perchè prescriverlo?

Gli effetti positivi del movimento sulle patologie croniche non trasmissibili sono da tempo documentati dalla più autorevole letteratura scientifica internazionale. Nonostante il consenso unanime sull’utilità sociale e individuale dell’attività fisica, questa rimane tuttavia poco praticata. Esistono problematiche come la resistenza del soggetto a seguire il consiglio di muoversi, a cambiare le proprie abitudini che ostacolano il cambiamento. Ecco perché si rende evidente la necessità di creare le condizioni per passare dal semplice consiglio ad una vera e propria prescrizione del movimento come farmaco, con dosi e orari precisi. Studi controllati confermano, infatti, che la compliance aumenta quando si passa dal consiglio spassionato e generico alla prescrizione dettagliata. Se non siamo sufficientemente incisivi è perché paghiamo il prezzo di un’eccessiva medicalizzazione la quale, disponendo di veri farmaci efficaci, ha lasciato un po’ da parte lo stile di vita basato sul movimento.

Secondo i più recenti sondaggi gli italiani sono pigri: tocca allora ai medici di famiglia, ai pediatri, ai geriatri prescrivere un po’ di movimento?

Personalmente mi trovo impegnato ogni giorno in azioni di educazione al movimento allo scopo di produrre salute in modo efficace e su larga scala.

Ogni persona matura una propria attitudine al movimento, vale a dire quella abilità di agire nella realtà quotidianamente in funzione dei propri desideri e dei bisogni. Ma nel tempo si ferma e si lascia immobilizzare dalla sedentarietà inaugurando così un lungo periodo di diminuita o scarsa attività fisica.

Il mio primo obiettivo è quello di rompere la sedentarietà, di spingere la gente a diventare più attiva.

Già Ippocrate (460 – 377 a.C.) padre della medicina, aveva intuito l’importanza della rivoluzione delMovimento_Farmaco2_10_2016lo stile di vita da sedentario ad attivo. La ragione è semplice: il movimento contribuisce a far bruciare ai muscoli zuccheri, grassi e proteine introdotti con l’alimentazione. Una vita fisicamente attiva induce modificazioni e adattamenti che risultano positivi per la funzionalità di organi e apparati. Questi adattamenti rimangono relativamente stabili nel tempo, ovvero, perdurano.

Anche il medico – filosofo Girolamo Mercuriale in seguito, nel 1500, nel suo trattato De arte gymnastica, ribadiva che la ginnastica è fondamentale per preservare la salute e guarire dalle malattie.

Con l’esercizio fisico e una dieta adeguata, confermano i dati di ricerche pubblicate, si possono evitare in una percentuale del 70 – 80 % il diabete dell’adulto con la riduzione della glicemia di base, ictus cerebrali, tumori, osteoporosi, malattie cardiovascolari come ipertensione e infarti, metaboliche (abbassano e controllano colesterolo e trigliceridi), si possono recuperare la non autosufficienza dell’anziano e aiutare i pazienti oncologici a ritrovare il benessere psicofisico dopo le cure.

Il movimento è uno stimolatore graduale del metabolismo energetico e anche del sistema nervoso. Attraverso la produzione di adrenalina, è in grado di dare uno scossone all’intero sistema nervoso aiutando così a tenere sotto controllo ansia, depressioni e psicosi varie.
Meno malattie, dunque, e taglio dei costi per il Sistema Sanitario Nazionale.

I benefici?

Un calo dell’indice di massa corporea (BMI = Body Mass Index) oltre che della massa grassa, un miglioramento del tono e trofismo muscolari e dell’equilibrio, una stabilizzazione dei valori della pressione arteriosa, un metabolismo lipidico e glucidico regolare, un miglioramento del profilo psicologico con recupero del buon umore e dell’autostima.

Movimento per stare bene e per guarire più in fretta: potrebbe apparire una banale regola del buon senso e invece ha bisogno di avere una misura scientifica per essere considerato una vera e propria strategia terapeutica.

Movimento_Farmaco3_10_2016

Un programma di attività aerobica (cammino, bicicletta, ginnastica o corsa con durata ed intensità tali da portare il ritmo cardiaco al 65 – 85 % della capacità massima per l’età considerata) di moderata intensità, 50 minuti, 3 volte alla settimana insieme ad esercizi di forza e tonificazione con carichi moderati oppure un programma suddiviso in 30 minuti al giorno delle stesse attività, porta a miglioramenti significativi. Per coloro che sono già attivi, sarebbe una buona abitudine alternare lo sport alla semplice attività motoria come passeggiare o salire sempre le scale. Ciò porta alla consapevolezza che impiegare obbligatoriamente un po’ del proprio tempo facendo movimento non è una perdita, ma un guadagno che migliora i parametri di salute e allunga le probabilità di sopravvivenza.

Rimanere attivi nell’arco della giornata è il miglior farmaco che possiamo assumere. Ci si deve assicurare di muoversi spesso. Anche il semplice alzarsi da una posizione seduta quando si è costretti a stare troppo a lungo, ogni 15 minuti per stirarsi e muoversi un po’, contrasta gli effetti negativi causati dalla sedentarietà. In piedi e in movimento il corpo lotta contro la gravità, mentre da seduto la asseconda.

Il movimento non ha alcun effetto collaterale proprio del farmaco se fatto con metodo e controllo; è un toccasana e un orientamento a vivere con sicurezza e fiducia il rapporto con il proprio corpo e la propria salute.

*Articolo coperto da Copyright.

Per approfondire l’argomento, guarda il video della mia intervista insieme alla dott.ssa Loredana Trosi ospiti della rubrica TV Be4eat tenuta dalla giornalista Nicla Signorelli e registrata a Telecolor.

“L’esercizio fisico come farmaco” 

 

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“Questo è un libro che riguarda tutti noi, sportivi e non. Fare movimento, fare esercizio fisico aiutano nella vita fino da quando, giovani, pratichiamo lo sport. Scegliere di continuare ci aiuta a sentirci giovani e a mantenerci in salute. Il corpo che abbiamo ci deve accompagnare per un lungo cammino ed il nostro compito è di mantenerlo sempre nelle migliori condizioni possibili.” – dalla prefazione di Alberto Tomba
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