Secondo l’Unione Europea la CSR, Corporate Social Responsability ovvero la Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), è “La responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società”. Per l’articolo 41 della Costituzione Italiana “L’ iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali”.
Per spiegarlo più chiaramente, la Responsabilità Sociale d’Impresa è l’impegno di ciascuna azienda a comportarsi in maniera corretta e etica, oltre al rispetto della legge, integrando le scelte di gestione e le operazioni commerciali con considerazioni e azioni di carattere sociale, ambientale e ecologico.
Oltre a prelevare per creare prodotti o servizi, un’azienda deve apportare valore sociale e ambientale.
L’azienda ha una responsabilità che implica l’impossibilità di separare il business dall’etica.
In fondo le aziende, piccole o grandi che siano, non esistono fine a se stesse: vivono, agiscono e influenzano l’ambiente, il territorio circostante, il tessuto sociale e da essi sono influenzate.
Le aziende non appartengono soltanto ai loro proprietari e alle figure manageriali che le gestiscono, ma rappresentano un bene sociale che interagisce con la società e l’ambiente.
E così pure i prodotti e servizi realizzati da ogni singola azienda devono essere valutati e apprezzati, in quest’ottica di pensiero, non soltanto per le loro caratteristiche qualitative funzionali o esteriori, ma pure per quelle non materiali. Considerare che un prodotto e un servizio di ogni azienda sono il risultato anche di una particolare attenzione alla salute e alla sicurezza sul lavoro, al rispetto dei diritti umani evitando le discriminazioni, alle buone relazioni con i fornitori, i clienti, le comunità locali, alle preoccupazioni ambientali e alle sue azioni in difesa, è un modo più attuale e funzionale di concepire l’azienda.
Ciò comporta pertanto un ripensamento del modello organizzativo delle aziende soprattutto per il futuro. Le dimensioni sociali, umanitarie e ambientali diventano così centrali tanto quanto il profitto.
Compito dell’imprenditore non è solo quello di creare ricchezza e occupazione, da molti ritenuto l’unico vero dovere, ma di considerare l’azienda parte di un ambiente con il quale interagisce.
La Responsabilità Sociale d’Impresa non è soltanto una modalità di fare impresa in maniera socialmente responsabile, ma di pensare il rapporto tra sistemi e ambiente eticamente dove le persone stanno al centro di un progetto concreto. L’azienda diventa così un sistema sociale aperto.
Applicare concretamente la RSI nella mia azienda è stato determinato da sempre da motivazioni molto forti.
Mi ha spinto innanzi tutto l’essere un imprenditore, colui che è creativo, propenso al rischio, capace di creare e coordinare il lavoro delle persone, di produrre benessere economico, ma pure valore aggiunto. E secondariamente mi ha spinto il concetto di sostenibilità che considera che le performance aziendali debbano essere valutate sia in termini economici che sociali e ambientali.
La sostenibilità è un approccio finalizzato a creare valore nel lungo periodo.
Due ragioni valide per costruire valore. Una grande opportunità per l’azienda, non certo un vincolo.
Applicare la RSI nella mia piccola azienda, Starbene Group, significa, a oggi, per le risorse umane rispondere agli indicatori di sicurezza dei dipendenti, formazione continua anche sui temi della sicurezza e del primo soccorso, rispetto del piano contrattuale, contributi e agevolazioni, infortuni e malattie; per la comunità, comunicazione e coinvolgimento della cittadinanza (iniziative sociali come il gruppo di cammino “5000 passi”, eventi culturali e sportivi, “porte aperte”, ecc.), ricerca e innovazione, solidarietà sociale (donazioni locali e internazionali, sponsorizzazioni e aiuti umanitari), partnership con associazioni no profit; per l’ambiente, diminuzione delle emissioni inquinanti (uso di detersivi ecologici, riciclo della carta per pulizie, raccolta differenziata dei rifiuti e dei tappi di plastica), riduzione dei consumi delle risorse e dei costi ambientali (luci led per l’energia elettrica, temporizzatore per le docce per l’acqua, termostati per la temperatura dell’aria), conservazione del patrimonio naturale preesistente (alberi secolari nel giardino, uso dell’area verde per le attività motorie e gli eventi, controllo della produzione di anidride carbonica).
E’ vero che per seguire gli obiettivi della RSI dipende dal settore in cui l’azienda svolge la sua attività, dalle dimensioni dell’impresa, dai contesti locale e socio – ambientale in cui opera, dalla disponibilità economica, dal tempo a disposizione, dalle persone competenti in materia.
L’Italia che conta un numero elevato di piccole e medie imprese, sembra essere in ritardo rispetto ad altri Paesi del Nord Europa e degli Usa, ad esempio, non tanto sul lato legislativo o delle politiche pubbliche quanto sull’impegno delle aziende private.
Saranno dunque le piccole dimensioni delle imprese a giustificare il ritardo italiano oppure una mancata agevolazione fiscale e burocratica da parte dello stato o, ancora, la scarsa sensibilità dei titolari d’impresa verso un’etica commerciale, sociale e ambientale?
Di fatto oggi si riscontra un’attitudine positiva e propositiva delle aziende nei confronti della RSI.
Molti temono che dietro la RSI si nasconda un interesse di “marketing”, una volontà delle aziende di apparire “belle” nelle loro caratteristiche ecologiche, etiche e sociali per ottenere vantaggi sul mercato.
Lo stesso Governo Italiano considera la RSI un fattore di competitività piuttosto che un costo. Ciò lascia intendere che domani le aziende impegnate in iniziative riguardanti la tutela dell’ambiente, nell’area di influenza, il miglioramento o la salvaguardia della qualità di vita lavorativa ed extra lavorativa dei propri dipendenti e loro familiari competeranno eticamente ed efficacemente sul mercato.
Dimostrare che ci sarà davvero una volontà di contribuire al bene della comunità da parte delle aziende investendo nell’ambiente, nelle relazioni, nel capitale umano non è semplice ed è estremamente personale. Ma si voglia o non si voglia, dal 1° gennaio 2017 le imprese con più di 500 dipendenti, secondo la Direttiva europea, saranno chiamate a comunicare informazioni riguardanti la sostenibilità ambientale, sociale, la gestione delle forniture, dei rischi, ecc.
Se a queste azioni seguiranno anche quelle delle piccole e medie imprese, assisteremo al moltiplicarsi di buoni comportamenti sociali ed ambientali verso un Umanesimo civile.
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